Se non si è esperti in economia è difficile comprendere gli intrecci nella gestione della Cosa pubblica. Gestione che ovviamente è nelle mani dei governi di turno e di chi ha la responsabilità dei vari comparti amministrativi che (in ogni modo, o in un modo o in un altro) vengono pur sempre indirizzati dalla “politica”. Difficile che il cittadino (il cosiddetto “Uomo qualunque”) riesca a comprendere la complessa macchina che “regola” la vita del Paese, semmai avverte sulla propria pelle le “disfunzioni” e le “carenze” quando si trova ad affrontare problematiche individuali che, poi, sono quelle di tutta la collettività.
Se qualcosa non funziona come dovrebbe, lo slogan è sempre lo stesso: “colpa della burocrazia”. Questa situazione ormai da anni generalizzata ha portato (e porterà maggiormente nell’immediato futuro) il cittadino ad allontanarsi dalla “politica”, a non avere fiducia nella “politica”, ed a farlo allontanare dalle urne quando periodicamente deve esprimere una dovuta opinione su chi lo deve governare. Una situazione che si cristallizza nel tempo e che – volente o nolente – interrompe o frammenta la democrazia, ponendo nelle mani di pochi il “potere” decisionale. Ciò si registra sul piano nazionale, più specificatamente sul piano regionale. In gioco anche l’informazione, sopraffatta dalla cronaca, lontane le “analisi” che toccano a fondo gli argomenti che riguardano crisi, mancanza di sviluppo, disoccupazione (eccetera, in ciò che è negativo), il tutto “limitato” negli schemi delle statistiche che vengono “interpretate” a seconda delle convenienze di parte.
Sfuggono così all’attenzione i pochi approfondimenti “non di parte” che gli esperti in economia presentano e che passano attraverso “veicoli” di nicchia, quasi che fossero indirizzati (e non risponde alla realtà) a cerchie ristrette di conoscitori e non a tutti coloro che possono concretamente essere interessati a fruire delle necessarie informazioni sullo stato delle cose. Ecco perché oggi ci permettiamo di proporre un reportage apparso su Businnes Insider Italia, a firma di Giuseppe Oddo che tratta questioni di “appalti” alla Regione Siciliana, spiegando i meccanismi ignoti del funzionamento della Cosa pubblica regionale, addentrandosi nella materia come può fare un valente chirurgo su un corpo malato. Giuseppe Oddo non si ferma in superficie, ma si addentra nei meandri poco noti degli intrecci che hanno regolato (e forse regolano ancora) la spesa pubblica. Rilanciamo questo reportage con l’intento di darne ulteriore divulgazione, e nel tentativo di far riflettere anche coloro che sono vinti dall’indifferenza e non offrono un contributo per un vero cambiamento.
S.B.
Giuseppe Oddo è un giornalista e blogger italiano di economia. È stato inviato de “Il Sole 24 Ore” dal luglio 1997 fino al dicembre 2015 e in precedenza ha lavorato per quattordici anni al settimanale “Mondo Economico”; collabora con il settimanale “L’Espresso” e con la testata online “Business Insider Italia” e gestisce il blog “Finanza e Potere”. Autore di grandi inchieste, ha raccontato fatti e misfatti delle più grandi imprese private e pubbliche e le principali vicende dell’economia nazionale, sia sul versante dell’industria sia su quello della finanza e della politica. Ha pubblicato con Giovanni Pons L’Affare Telecom. Il caso politico-finanziario più clamoroso della Seconda Repubblica (Sperling & Kupfer2002 e 2005) e L’intrigo. Banche e risparmiatori nell’era Fazio (Feltrinelli 2005), e ha scritto con Angelo Mincuzzi Opus Dei, il segreto dei soldi. Dentro i misteri dell’omicidio Roveraro (Feltrinelli 2011). Il suo nuovo libro, Lo Stato parallelo. La prima inchiesta sull’Eni tra politica, servizi segreti, scandali finanziari e nuove guerre, da Mattei a Renzi, di cui è coautore Andrea Greco, è uscito nel marzo 2016 per i tipi di Chiarelettere.
BUSINESS INSIDER ITALIA Dicembre 2017
Regione siciliana, 7 miliardi di appalti pubblici che sfuggono ai controlli con la complicità della politica
di Giuseppe Oddo
Regione che vai Consip che trovi. In Sicilia l’equivalente della Centrale nazionale per gli acquisti della pubblica amministrazione (la Consip, appunto) è la Centrale unica di committenza. La Cuc, costituita nel maggio 2015, è l’organismo che gestisce in modo centralizzato, per conto della Regione siciliana, gli appalti pubblici per beni e servizi nell’Isola. Fin qui tutto normale: la razionalizzazione degli acquisti dei vari rami dell’amministrazione regionale – enti, partecipate, aziende ospedaliere – è una scelta positiva che tende all’eliminazione degli sprechi e al contenimento della spesa pubblica. Gli interrogativi sorgono per l’inspiegabile decisione del legislatore di allocare la Cuc nel dipartimento Bilancio e Tesoro dell’assessorato all’Economia e di farne responsabile un manager esterno dirigente di un’azienda sanitaria.
L’assessorato all’Economia, che dal 2014 fino alle elezioni del 2017 è stato retto da Alessandro Baccei, un renziano calato dalla Toscana, imposto a Crocetta dalla direzione nazionale del Pd, non aveva e non ha alcuna competenza in materia di appalti. Perché, allora, incuneare proprio lì la centrale degli acquisti? Semmai sarebbe stato più logico inserirla all’interno degli Urega, gli Uffici regionali per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici, che operano nelle nove province dell’Isola con il coordinamento del Dipartimento regionale tecnico dell’assessorato alle Infrastrutture.
Seconda anomalia
La Regione siciliana ha un numero spropositato di dirigenti, eppure responsabile della Cuc è stato nominato, nel giugno 2016 un esterno, l’avvocato Fabio Damiani. Cinquant’anni da poco compiuti, Damiani è direttore del provveditorato (l’ufficio che si occupa di appalti) dell’Azienda sanitaria provinciale di Palermo e, al momento dell’incarico alla Cuc, ricopriva già da qualche anno, per volontà di Crocetta, anche il ruolo di commissario liquidatore del Ciapi (un ente di formazione travolto dalle inchieste giudiziarie). La sua presenza alla Centrale unica era talmente indispensabile che – come risulta dal decreto di nomina – gli è stato accordato, almeno all’inizio, di lavorare alla Cuc per appena due giorni su sette, consentendogli per il resto della settimana di continuare a prestare servizio nella Asp di Palermo. Damiani aveva denunciato a Crocetta e all’assessore alla Sanità Lucia Borsellino l’operato del suo direttore generale Salvatore Cirignotta. Le accuse ruotavano intorno a una gara per l’acquisto di “pannoloni” del valore di 46 milioni. Secondo Damiani, che presiedeva la commissione aggiudicatrice, il suo superiore avrebbe esercitato su di lui forti pressioni per cercare di indurlo a manipolare l’esito della gara. Cirignotta fu indagato, messo agli arresti domiciliari e rinviato a giudizio.
Peccato che la Cuc, tradendo il mandato originario di centrale degli acquisti per tutti i settori dell’amministrazione pubblica, abbia finito per occuparsi esclusivamente di gare per la sanità, come si evince dal portale internet della Regione (farmaci, pace-maker, defibrillatori, servizi di lavanderia, servizi per la gestione delle apparecchiature elettromedicali). E che Damiani, in quanto dirigente responsabile degli appalti di una delle più grandi Asp d’Italia, si trovi in conflitto d’interesse.
Peraltro la Cuc, nella sua breve vita, è incorsa in una serie di incidenti. Nel 2017 il Consiglio di giustizia le ha bocciato un bando da 350 milioni per la pulizia degli ospedali, considerato troppo favorevole alle grandi imprese del settore. La Cuc ha ripresentato il bando, riducendo il valore della gara a 265 milioni e cercando di renderne i requisiti di accesso più alla portata delle piccole e medie imprese. Ma il Tar non ha voluto sentire ragioni e gliel’ha stoppato. E non è finita: lo stesso Tar ha annullato altre due gare della Cuc, una da 144 milioni per la fornitura di “pannoloni” alle nove Aziende sanitarie provinciali della Sicilia e un’altra da 163 milioni per la cosiddetta ristorazione in corsia. Una magra figura dietro l’altra.
Ma le anomalie non si fermano alla Cuc. Emergono anche da un decreto presidenziale – il n. 13 del 31 gennaio 2012 – che all’articolo 12 rovescia le disposizioni di una importante legge regionale che avrebbe dovuto rimettere ordine nel mare magnum degli appalti: la legge n. 12 del luglio 2011. Sullo scranno di governatore della Regione sedeva Raffaele Lombardo.
Con la legge n. 12, pensata proprio per “assicurare condizioni di massima trasparenza nell’espletamento delle procedure”, era stato introdotto, nelle gare per la fornitura di beni e servizi alla pubblica amministrazione, il principio della separatezza tra stazione appaltante e commissione aggiudicatrice. All’articolo 8 la legge infatti riconosceva alla stazione appaltante il diritto di nominare esclusivamente il presidente della commissione. Gli altri commissari aggiudicatori avrebbero dovuto essere scelti per sorteggio da un apposito albo di professionisti costituito presso il Dipartimento regionale tecnico. Ciò avrebbe dovuto impedire, ai diversi rami dell’amministrazione, agli enti e alle imprese pubbliche appaltanti, la possibilità di insediare commissioni compiacenti attraverso cui pilotare le gare.
“L’importanza di questa legge è dimostrata dal fatto che, nei mesi in cui rimase in vigore, le gare per servizi e forniture registrarono un calo di valore”, ci spiega una fonte che preferisce non apparire. E’ la prova che in passato gli importi delle gare sono stati volutamente tenuti alti per permettere il pagamento di tangenti.
La legge, però, rimase in vigore solo sei mesi, finché nel febbraio 2012 Lombardo non firmò un decreto presidenziale, tuttora in vigore, con cui è stabilito che il principio della separatezza tra stazione appaltante e commissione aggiudicatrice vale solo per affidamenti di importo pari o inferiore a 1 milione 250mila euro. “Da quel momento”, spiega la stessa fonte, “il valore degli appalti per beni e servizi è tornato a crescere, perché, per gare di importo superiora a 1 milione 250mila euro, la selezione della commissione aggiudicatrice è ritornata ad essere facoltà della stazione appaltante. La gara multimilionaria per la fornitura di ‘pannoloni’ che ha condotto all’arresto di Cirignotta è, non a caso, successiva al gennaio 2012”.
Altre anomalie
Nel 2013 la Regione costituisce il Dipartimento tecnico presso l’assessorato alle Infrastrutture. E all’interno del Dipartimento tecnico insedia due unità operative: il Servizio 1, per il controllo e la vigilanza sui contratti pubblici per la fornitura di beni e servizi, e il Servizio 2, che svolge analoghe funzioni di controllo e vigilanza sull’esecuzione di opere pubbliche. Nel 2013 la responsabilità del Servizio 2 è affidata all’architetto Vincenzo Pupillo, che nel gennaio 2016 riceve ad interim, dall’allora dirigente generale Fulvio Bellomo, la responsabilità del Servizio 1. Proprio nei primi mesi del 2016 il Dipartimento subisce un accorpamento di funzioni per ridurne il numero dei dirigenti. E Pupillo scopre che nella bozza del progetto di riorganizzazione, alla cui stesura non ha più partecipato per divergenze interne, tra le funzioni attribuite al Servizio 1 non compare più la vigilanza (l’attività ispettiva che permette di svolgere un’indagine a tutto campo sull’andamento di un contratto d’appalto). Una mano ignota l’ha espunta. Il dirigente solleva la questione in un convegno sulla corruzione che si svolge a Milazzo nell’aprile 2016. Sottolinea il fatto che l’ammontare dei contratti pubblici in Sicilia (come risulta dai codici identificativi delle gare presso l’Agenzia anticorruzione) si aggira sui 7 miliardi l’anno, di cui l’82% per beni e servizi. E che l’inasprimento dei controlli e della vigilanza nel settore dei lavori pubblici ha spostato gli interessi della cosiddetta area grigia (formata da politici, funzionari e imprenditori corrotti) nel settore della fornitura di beni e servizi, dove invece i controlli e la vigilanza sono laschi.
Le sue dichiarazioni suscitano l’interesse della Commissione regionale antimafia presieduta da Nello Musumeci, che decide di ascoltarlo. Gli appalti della Regione sono da sempre il punto di convergenza tra politica e mafia. E dinanzi alla Commissione, che ne secreta l’audizione, Pupillo elenca una serie di fatti e di nomi. Ma ecco il colpo di scena: il 30 giugno, nell’ambito di un nuovo processo di riorganizzazione del Dipartimento tecnico, il dirigente è estromesso dai Servizi 1 e 2 e sostituito da un collega che proviene dal settore della sicurezza e non ha alcuna esperienza sugli appalti. Tuttavia la questione sollevata dall’architetto palermitano scotta troppo per poter essere ignorata. Così, il termine “vigilanza”, inizialmente espunto in bozza, riappare nel testo definitivo sul nuovo assetto del Dipartimento, pubblicato nella Gazzetta ufficiale regionale il 1° luglio 2016.
Ora al governo della Regione s’è insediata la nuova giunta di centrodestra. Presidente è Nello Musumeci. Assessore all’Economia è Gaetano Armao, che ha già ricoperto questo ruolo proprio nel periodo in cui il governo Lombardo stravolgeva la legge n. 12. Musumeci ha promesso che sbalordirà i siciliani. E in campagna elettorale ha dichiarato di non voler sottostare ad alcun tipo di condizionamento.
Spetta dunque a lui decidere se mantenere in vita nella pubblica amministrazione un sistema che tende a favorire l’illecito arricchimento o se sopprimerlo.
ma chi decide l’appalto delle chiese nelle diocesi dell’isola..a trapani e mazara ci sono imbrogli di cui nessuno parla piu’ che coinvolgono i vescovi locali…